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Salvatore Carnevale (Galati Mamertino, 23 settembre 1923 – Sciara, 16 maggio 1955)

Salvatore Carnevale


Salvatore "Turi" Carnevale (Galati Mamertino23 settembre 1923 – Sciara16 maggio 1955) è stato un sindacalista italiano.


Biografia 

Bracciante e sindacalista socialista di Sciara (PA) a 31 anni venne assassinato il 16 maggio 1955 all'alba mentre si recava a lavorare in una cava di pietra gestita dall'impresa Lambertini. I killer lo uccisero mentre percorreva la mulattiera di contrada Cozze secche.
Carnevale aveva dato molto fastidio ai proprietari terrieri per difendere i diritti dei braccianti agricoli: era infatti molto attivo politicamente nel sindacato e nel movimento contadino.[1] Nel 1951 aveva fondato la sezione del Partito Socialista Italiano di Sciara ed aveva organizzato la Camera del lavoro. Nel 1952 aveva rivendicato per i contadini la ripartizione dei prodotti agricoli ed era riuscito ad accordarsi con la principessa Notabartolo. Nell'ottobre 1951 aveva organizzato i contadini nell'occupazione simbolica delle terre di contrada Giardinaccio della principessa. Carnevale per questo fu arrestato e uscito dal carcere si trasferì per due anni a Montevarchi in Toscana, dove scoprì una cultura dei diritti dei lavoratori più forte e radicata.
Nell'agosto 1954 tornò in Sicilia, dove cercò di trasferire nella lotta contadina le sue esperienze settentrionali. Fu nominato segretario della Lega dei lavoratori edili di Sciara. Tre giorni prima di essere assassinato era riuscito ad ottenere le paghe arretrate dei suoi compagni e il rispetto della giornata lavorativa di otto ore.
Del suo omicidio vennero accusati Giorgio Panzeca, Antonio Mangiafridda e Luigi Tardibuono, il soprastante della principessa Notarbartolo. Nel processo, la parte civile costituita dalla madre Francesca Serio Carnevale fu rappresentata dal futuro presidente della Repubblica, il socialista Sandro Pertini, e dagli avvocati Nino Taormina e Nino Sorgi, anche loro socialisti come Carnevale. Alla fine del processo di 1º grado svoltosi a Santa Maria Capua Vetere nel 1960 i tre imputati vennero condannati all'ergastolo[1]. Nel collegio di difesa compariva anche Giovanni Leone, futuro presidente della Repubblica. La parte civile comprendeva l'avvocato Nino Sorgi (che molte volte difese il quotidiano L'Ora da querele di politici collusi con la mafia).
In appello e in Cassazione il verdetto fu ribaltato e i tre imputati furono assolti.

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