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Salvatore Giuliano

Salvatore Giuliano


Salvatore Giuliano (Montelepre16 novembre 1922 – Castelvetrano5 luglio 1950) è stato un criminale italiano. Per alcuni mesi sfruttò la copertura dell' EVIS, il braccio armato del Movimento Indipendentista Siciliano attivo a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, ma il suo nome resta principalmente legato alla strage di Portella della Ginestra (1º maggio 1947), in cui morirono undici persone e altre 27 rimasero ferite.


Biografia

Il padre, suo omonimo, costretto ad emigrare negli Stati Uniti, a più riprese riuscì a comprare diversi pezzi di terra nei dintorni del paese. Infine rimpatriò, proprio nell'anno di nascita di Salvatore, per occuparsi della loro coltivazione.
Il giovane Salvatore, finite le elementari, andò ad aiutare il padre. In verità avrebbe preferito il commercio, ma non si sottraeva al suo dovere anzi trovava il tempo per continuare gli studi. Spesso finito il lavoro, andava dal prete del paese o da un suo ex insegnante.

La latitanza 

Fu una figura molto controversa: dopo aver lavorato come fattorino per una società elettrica, si dedicò al mercato nero, specialmente al commercio di grano, durante l'occupazione alleata; la sua latitanza inizia il 2 settembre 1943 quando, fermato ad un posto di blocco dei Carabinieri mentre trasportava due sacchi di frumento (80 kg) caricati su un cavallo, gli vengono sequestrati cavallo e frumento; Giuliano reagì uccidendo il giovane carabiniere con la sua pistola e si diede alla macchia.
Il 23 dicembre 1943 Giuliano uccise il carabiniere Aristide Gualtiero a colpi di mitragliatrice perché incappò in un rastrellamento della sua famiglia a Montelepre, la quale era sospettata di dargli asilo; nel gennaio 1944 Giuliano riuscì a fare evadere numerosi suoi parenti e altri detenuti dalla prigione di Monreale, i quali costituirono il primo nucleo della sua banda. In questa fase, Giuliano e la sua banda compirono numerose rapine e sequestri a scopo di estorsione ai danni di ricchi agricoltori, commercianti ed imprenditori con la complicità di Ignazio Miceli, capo della cosca mafiosa di Monreale, che fornì il suo vice Benedetto Minasola alla banda Giuliano come tesoriere e depositario di numerose persone sequestrate.

Colonnello dell'EVIS  

Nella primavera 1945 Giuliano s'incontrò con alcuni leader del Movimento Indipendentista Siciliano, tra i quali c'erano Concetto Gallo e il figlio del barone Lucio Tasca Bordonaro; Giuliano chiese dieci milioni di lire per entrare nell'EVIS, il progettato esercito separatista, che gli furono concessi insieme al grado di "colonnello" e la promessa di armi e munizioni. Dopo questi accordi, Giuliano iniziò la guerriglia contro le autorità, compiendo imboscate e assalti alle caserme dei carabinieri di Bellolampo, Pioppo, Montelepre e Borgetto, alcune delle quali furono anche occupate. In questo periodo, Giuliano riuscì a costruirsi un'immagine da Robin Hood, continuando però a compiere numerose rapine e sequestri
Per contrastare Giuliano, fu costituito l'Ispettorato generale di polizia in Sicilia, che però non attuò il suo compito perché i suoi dirigenti intrecciarono rapporti con il bandito e protessero la sua latitanza, attraverso il boss Ignazio Miceli. Nel gennaio 1946 la banda Giuliano attaccò la sede della Radio di Palermo.
Nel 1946 il Movimento Indipendentista Siciliano decise di entrare nella legalità e di partecipare alle elezioni per l'Assemblea Costituente. Il separatismo scemò con il riconoscimento dello Statuto speciale siciliano conferito dal Re Umberto II alla Sicilia nel maggio 1946, 17 giorni prima del referendum che trasformerà l'Italia in Repubblica, e divenne parte integrante della Costituzione Italiana (legge costituzionale n° 2 del 26/02/1948). Con l'amnistia del 1946 per i reati politici, i separatisti lasciarono la banda di Giuliano, che continuò i sequestri e gli attacchi contro le caserme dei Carabinieri e le leghe contadine. Le imprese di Giuliano, da allora, furono trasmesse all'opinione pubblica non più come azioni di guerriglia ma come veri e propri atti di criminalità comune, di "brigantaggio", compresi i sequestri.

La strage di Portella della Ginestra 

Nella primavera del 1947 Giuliano rilasciò un'intervista al giornalista americano Michael Stern, che riuscì a raggiungerlo nel suo rifugio sui monti di Montelepre, dove lo fotografò. L'intervista fu rilasciata pochi giorni prima della strage di Portella della Ginestra e in quell'occasione il bandito consegnò al giornalista una lettera per il presidente Harry Truman, in cui chiedeva aiuti e armi per l'indipendenza della Sicilia, vaneggiando un'annessione agli Stati Uniti d'America. Il contatto con il latitante Giuliano rese Stern sospetto di essere al servizio dell'OSS, il servizio segreto statunitense dell'epoca.
Il 1º maggio 1947, presso Portella della Ginestra, duemila lavoratori, in prevalenza contadini, si erano riuniti per festeggiare la vittoria della coalizione PSI - PCI, riunita in un Blocco del Popolo, nelle recenti elezioni per l'Assemblea Regionale Siciliana, dove aveva aveva conquistato 29 rappresentanti su 90 (con il 29% circa dei voti); improvvisamente la banda Giuliano iniziò a sparare sulla folla dai monti circostanti: furono uccise undici persone mentre altre 27 rimasero ferite.
Subito dopo il massacro di Portella, il mafioso Ignazio Miceli e Domenico Albano, capo della cosca di Borgetto, consegnarono una dichiarazione scritta di Giuliano a Ciro Verdiani,ispettore generale di pubblica sicurezza in Sicilia che proteggeva la latitanza del bandito, e lo accompagnarono all'incontro con Giuliano a Castelvetrano, a cui era presente anche il suo luogotenente Gaspare Pisciotta. Nell'estate 1947 la banda Giuliano incendiò e devastò con mitra e bombe a mano le sedi delle leghe contadine del PCI di Monreale, Carini, Cinisi,Terrasini, Borgetto, Pioppo, Partinico, San Giuseppe Jato e San Cipirello, provocando un morto e numerosi feriti; sui luoghi degli attentati venivano lasciati dei volantini firmati dallo stesso Giuliano che incitavano la popolazione a ribellarsi al comunismo.
Consapevole di essere divenuto ormai scomodo a tanti che lo avevano sostenuto, Giuliano cominciò a fare una serie di allusioni sui rapporti da lui intrattenuti con noti esponenti politici, tra cui l'onorevole Mario Scelba, citato in una lettera inviata da Giuliano al quotidiano L'Unità nel 1948. Nello stesso tempo la banda Giuliano uccise Santo Fleres, capo della cosca di Partinico, e altri cinque mafiosi locali; l'8 luglio 1949 la banda Giuliano assassinò Leonardo Renda, segretario della Democrazia Cristiana di Alcamo, per vendicarsi del tranello architettato mesi prima ai loro danni da Renda stesso, che aveva nascosto il bandito e poi aveva avvertito la polizia per catturarlo ma lui era riuscito a fuggire.
Il 19 agosto 1949 avvenne una seconda strage, quella di Bellolampo-Passo di Rigano ad opera di Giuliano, nella quale persero la vita sette carabinieri e 11 rimasero feriti, tra cui il colonnello Ugo Luca. Pochi giorni dopo fu decisa la costituzione del Comando forze repressione banditismo, con Luca al comando.

Il declino e la morte 

Gli uomini del colonnello Luca si accordarono segretamente con il boss Ignazio Miceli e il suo vice Benedetto Minasola, che gli consegnarono numerosi membri della banda Giuliano: nella primavera 1950 venne ucciso dai Carabinieri in uno scontro a fuoco il bandito Rosario Candela e venne catturato il suo sodale Frank Mannino, detto «l'americano», attirato in una trappola proprio da Minasola.
Il 5 luglio 1950 Giuliano venne ritrovato morto nel cortile della casa di un avvocato di Castelvetrano: un comunicato del Ministero degli Interni annunciò ufficialmente che era stato ucciso in un conflitto a fuoco avvenuto la notte precedente con un reparto di Carabinieri alle dipendenze del capitano Antonino Perenze, un uomo del colonnello Luca; però sulla fine del bandito apparvero subito diverse incongruenze della versione degli inquirenti. Infatti il giornalista deL'Europeo Tommaso Besozzi pubblicò un'inchiesta sull'uccisione di Giuliano dal titolo Di sicuro c'è solo che è morto, nella quale mise in luce le incongruenze della versione data dai Carabinieri sulla morte del bandito e indicò come assassino di Giuliano, Gaspare Pisciotta, il quale era segretamente diventato un informatore del colonnello Luca prima della morte di Giuliano.
Al processo per il massacro di Portella della Ginestra tenutosi a Viterbo, Pisciotta si autoaccusò dell'omicidio di Giuliano e accusò anche i deputati Bernardo Mattarella, Gianfranco Alliata, Tommaso Leone Marchesano ed anche Mario Scelba di essere i mandanti della strage di Portella, dichiarando: “Servimmo con lealtà e disinteresse i separatisti, i monarchici, i democristiani e tutti gli appartenenti a tali partiti che sono a Roma con alte cariche, mentre noi siamo stati scaricati in carcere. Banditi, mafiosi e carabinieri eravamo la stessa cosa”. Come emerso dalle dichiarazioni di Pisciotta al processo, Giuliano fu da lui ucciso nel sonno nella casa di Castelvetrano dove si nascondeva e il cadavere sarebbe poi stato trasportato nel cortile della casa stessa, dove gli uomini del colonnello Luca e del capitano Perenze inscenarono una sparatoria mentre Pisciotta si dava alla fuga.
Nel 1954 Pisciotta fu avvelenato nel carcere dell'Ucciardone con un caffè alla stricnina, prima di rendere la sua testimonianza sulla strage di Portella della Ginestra al procuratore Pietro Scaglione.

Dubbi sulla morte 

Sulla morte di Giuliano esistono almeno cinque differenti versioni ed il segreto di stato fino al 2016. Alcuni, come il ricercatore storico Giuseppe Casarrubea addirittura sostengono che il Giuliano morto in Sicilia fosse in realtà il fratello o un sosia, e che il vero Salvatore fu fatto fuggire all'estero oppure divenne latitante e fu ucciso solo alcuni anni più tardi, in un bar di Napoli, con un caffè al cianuro.
Secondo un'ultima ipotesi, al posto del bandito fu ucciso, forse intenzionalmente, un suo sosia, per essere poi tumulato al suo posto. Per queste ragioni lo studioso Giuseppe Casarrubea ha chiesto alla Procura di Palermo di riaprire la bara tumulata nella cappella della famiglia Giuliano a Montelepre per accertarne l'identità; la riesumazione è avvenuta il 28 ottobre 2010 ma l'esame del DNA e gli accertamenti medico-legali hanno confermato che i resti sepolti nella tomba della famiglia Giuliano appartengono realmente al bandito e quindi l'inchiesta è stata archiviata.

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