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Mafia, sei anni in appello per Mannina. D'Alì, le carte di Tarondo nella requisitoria dell'accusa


Mafia, sei anni in appello per Mannina. D'Alì, le carte di Tarondo nella requisitoria dell'accusa


Vincenzo Mannina, imprenditore trapanese di 51 anni chiamato a rispondere di associazione mafiosa, è stato condannato a sei anni di reclusione dalla  IV sezione della Corte d'Appello di Palermo che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha disposto la revoca della confisca della Calcestruzzi e Asfalti Mannina srl, della Asfalti Sicilia srl, della Sereim e della Ecomeccanica, aziende nella disponibilità dell'imputato. 
Resta confiscata l'azienda principale. Manina era stato condannato, in primo grado, a sei anni ed otto mesi di reclusione. In appello aveva ottenuto una riduzione di cinque mesi. La Corte di Cassazione aveva annullato, con rinvio, la sentenza, disponendo la celebrazione del nuovo processo. Il procuratore generale aveva chiesto la condanna dell'imprenditore a sei anni ed otto mesi di reclusione, la stessa pena inflittagli in primo grado. Confindustria e diversi enti locali, la Provincia ed i Comuni di Valderice, Erice, Trapani e Paceco, si sono costituiti parte civile. Gli avvocati Giuseppe Novara, Antonino Barbiera, Giuseppe Rando, Lilly Santangelo, Giovanna Massimo D'Azeglio e Giuseppe Giambrone si erano associati alla richiesta di condanna della pubblica accusa.
Mannina, titolare di un impianto per la produzione di calcestruzzi e di altre aziende operanti nel settore edile, era finito in manette nell'ambito dell'inchiesta «Mafia e Appalti» che ha alzato il velo su una serie di attività illecite gestite dalle famiglie mafiose del mandamento di Trapani. Secondo gli inquirenti, l'imprenditore sarebbe stato uno dei più stretti collaboratori del boss Francesco Pace, subentrato a Vincenzo Virga alla guida del mandamento di Trapani.
A Mannina sarebbe stato affidato il  compito d'imporre alle imprese l'approvvigionamento di calcestruzzo presso la Sicilcalcestruzzi di Paceco, società controllata dal boss, e presso il suo impianto. L'imprenditore sarebbe stato inoltre coinvolto nel tentativo della mafia di riprendere il controllo della Calcestruzzi Ericina, società confiscata al boss Vincenzo Virga. 
D'ALI'. E' proprio la vicenda del tentativo della mafia trapanese di riappropriarsi della Calcestruzzi Ericina è uno dei punti cardine dell'accusa del processo, che si tiene a Palermo con rito abbreviato, nei confronti del Senatore del Pdl Antonio D'Alì, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Il Pm Andrea Tarondo, che sostiene l'accusa, ha parlato infatti del traferimento del Prefetto di Trapani Sodano come di una vendetta nei confronti del rappresentante dello Stato che aveva ostacolato quell'operazione. L'altra carta in mano a  Sodano, per dimostrare i rapporti tra D'Alì e la mafia trapanese, è  la vicenda dei terreni di contrada Zangara di Castelvetrano, dal valore di circa 300 milioni di lire, ceduti gratuitamente ai Messina Denaro, e l'interessamento di D'Alì in favore dell'imprenditore legato a Cosa nostra Antonio Birrittella. Secondo l'accusa, D'Alì avrebbe fatto in modo che un immobile di Birrittella venisse dato in affitto all'Arma per essere utilizzato come sede della stazione dei carabinieri di Castelvetrano. Tarondo ha poi citato l'episodio di  un telegramma mandato al senatore D’Alì dal figlio, detenuto, del capo mafia, al’epoca latitante, Vincenzo Virga. Un telegrama fantasma, secondo la difesa (materialmente infatti non è mai stato trovato), ma del quale racconta l'ex moglie di D'Alì, sentita come persona informata dei fatti. 
Nella prossima udienza fissata per il 14 giugno, Tarondo avanzerà al presidente del Tribunale le sue richieste.

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