LA MAFIA E LO SBARCO ALLEATO IN SICILIA, UNA
STORIELLA PERCEPITA PER STORIA
di Pasquale Hamel -
Abbiamo anticipato nei precedenti interventi tre verità incontestabili: la prima é relativa al luogo dello sbarco, che si è svolto in aree non ancora segnate dalla presenza mafiosa; la seconda relativa al divario di mezzi e uomini che segnava i rapporti di dorza fra gli Alleati e le difese dell’Asse, una sperequazione che rendeva assolutamente inutili aiuti esterni; la terza che non si ha notizia di un solo sabotaggio in danno degli italo tedeschi, per cui ci si chiederebbe in cosa possa essere consistito l’aiuto della mafia. Queste tre verità basterebbero di per sé a fare accantonare una narrazione, quella di un contributo decisivo delle organizzazioni mafiose al successo dello sbarco Alleato, che appartiene più alla leggenda che alla realtà. ” Si é attribuito un ruolo decisivo o significativo alla mafia nello sbarco, ma studi recenti tendono a ridimensionarlo”. E’ questo quanto é costretto a scrivere Umberto Santino che, viste le sue posizioni pregiudizialmente antiamericane, non avrebbe disdegnato di rire qualcosa di diverso. Scrive Salvatore Lupo, il maggiore studioso vivente del fenomeno mafioso : “La storia di una mafia che aiutò gli angloamericani nello sbarco in Sicilia è soltanto una leggenda priva di qualsiasi riscontro, anzi esistono documenti inglesi e americani sulla preparazione dello sbarco che confutano questa teoria; la potenza militare degli alleati era tale da non avere bisogno di ricorrere a questi mezzi. Uno dei pochi episodi riscontrabili sul piano dei documenti è l’aiuto che Lucky Luciano propose ai servizi segreti della marina americana per far cessare alcuni sabotaggi, da lui stesso commissionati, nel porto di New York; ma tutto ciò ha un valore minimo dal punto di vista storico, e soprattutto non ha alcun nesso con l’operazione ‘Husky’. Lo sbarco in Sicilia non rappresenta nessun legame tra l’esercito americano e la mafia, ma certamente contribuì a rinsaldare i legami e le relazioni affaristiche di Cosa Nostra siciliana con i cugini d’oltreoceano”. Già questa affermazione, scientificamente fondata dalla consultazione di documenti originali, che ritroviamo anche in ricercatori che non si accontentano delle storie ad effetto, potrebbe soddisfarci. Ma, siccome, é nostra intenzione non lasciare zone d’ombra sul tema del quale anche certi mondi che indulgono a esagerare il peso della mafia sono costretti a fare qualche passo indietro, é opportuno smontare queste stesse tesi.
Quando si parla di mafia riferendosi all’occupazione della Sicilia da parte degli Alleati e segnatamente da parte degli Americani, si fa una grande confusione fra due momenti che andrebbero distinti per avere una corretta percezione dei fatti. Una cosa é parlare dello sbarco e del suo successo, un’altra cosa è parlare di ció che avvenne dopo. Ebbene, gli storici, parlo degli storici seri, sono d’accordo nell’escludere che in quello che chiamiamo primo tempo della vicenda, cioè lo sbarco, la mafia abbia dato un contributo, e a maggior ragione determinante. Il racconto della regia di Lucky Luciano, del famoso fazzoletto giallo con la “L”in nero, la presenza del boss in Sicilia, appartengono al mondo della fantasia. Nessuna prova é stata fornita in merito. Se é infatti vero che Luciano, allora in carcere, sia stato contattato dalle autorità americane per dare un contributo alla causa degli Yankees, questo avvenne, ed é documentato, per ben altra ragione. La ragione non riguardava la sua influenza sulla mafia siciliana, piuttosto per garantire la sicurezza del porto di New York. La mafia siciliana aveva praticamente il controllo del “Fronte del porto” e, grazie all’opera di Luciano, si mise a disposizione della sicurezza statunitense per evitare infiltrazioni tedesche e garantire il tranquillo svolgimento dei traffici e soprattutto per impedire attentati ai convogli militari che portavano in Europa soldati, armi e rifornimenti. Operazione che Luciano, che ebbe in cambio una migliore condizione carceraria, riuscì a garantire così bene – tanto che c’è il sospetto che i sabotaggi fossero stati ordinati dallo stesso boss – che, subito dopo la fine della guerra, con provvedimento speciale per meriti verso la patria, fu liberato ed espulso dal territorio americano. Attente ricerche, hanno appurato che, nonostante le consuete illazioni, Luciano non lasciò mai gli USA, appunto, prima della fine della guerra.
Un’altra storia riguarda il ruolo di don Calogero Vizzini, capo riconosciuto della mafia siciliana. Un fatto viene ricordato come dimostrazione dell’intesa fra americani e mafia. Don Calogero , ma anche il suo secondo, Giuseppe Genco Russo a Mussumeli, venne nominato sindaco di Villalba dal governo Alleato. La risposta, comunemente, data a questo quesito è che il colonnello Charles Poletti, responsabile dell’AMGOT, avrebbe nominato il Vizzini per quello che viene deifinto un ” pactum sceleris ” fra mafia e Americani. I fatti, appurati dagli storici, tuttavia smentiscono questa vulgata. L’Amministrazione alleata, lo dicono coloro che hanno esaminato i documenti originali, relativi a quel periodo, aveva bisogno di soggetti non compromessi con il precedente regime e capaci di mantenere l’ordine oltre che accreditati. Il capomafia siciliano – parente stretto di ecclesiastici, non si dimentichi che, piuttosto delle elite locali, gli Alleati ebbero come interlocutore privilegiato la chiesa locale – fu scelto proprio per essere lui stesso stato segnalato dalla Chiesa locale come uomo che, almeno ufficialmente, non si era compromesso col fascismo e che si supponeva essere in grado di garantire l’ordine in quel difficile momento di transizione. Il Vizzini e la mafia approfittarono, di quelle occasioni offerte e del clima, tutto sommato, di libertà che gli occupanti, interessati alla sconfitta del fascismo – del quale non avevano spesso una idea molto chiara – garantirono. Quello che era stato, per l’organizzazione criminale, periodo delle catacombe divenne invece potente strumento di legittimazione democratica che gli concesse quell’agibilità necessaria a ritessere le fila dell’organizzazione andando oltre quelli che erano stati i suoi riferimenti tradizionali. Proprio delle loro scelte sbagliate si accorsero, ben presto, anche gli Americani che inviarono il capitano Scotten, in Sicilia, per avere un quadro il più corretto possibile della situazione. Se, infatti, nella vicenda dello sbarco la mafia non ebbe alcun ruolo, lo avrebbe avuto subito dopo, sotto il governo dell’AMGOT. La superficialità degli Americani nella scelta dei punti di riferimento locali cui affidarsi – il caso ad esempio degli italo americani arruolati come interpreti – diede uno spazio immeritato a individui che appartenevano alla mafia o erano vicini alla mafia.
Ma, per usare una frase ormai entrata nella pubblicistica, quella é un’altra storia.”
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