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Bernardo Provenzano

Bernardo Provenzano


Bernardo Provenzano, detto da taluni Binnu u' Tratturi (Bernardo il trattore, per la violenza con cui falciava le vite dei suoi nemici), e da altri Zu Binu e il ragioniere (Corleone31 gennaio 1933), è un criminale italiano, membro di Cosa Nostra e considerato il capo dell'organizzazione a partire dal 1995 fino al suo arresto.

Arrestato l'11 aprile 2006 in una masseria a Corleone, Provenzano era ricercato sin dal 10 settembre 1963, con una latitanza record di quarantatré anni. In precedenza era già stato condannato in contumacia a tre ergastoli ed aveva altri procedimenti penali in corso.

Biografia 

Primi anni 

Nato da una famiglia corleonese molto povera, terzo di sette figli, venne ben presto mandato a lavorare nei campi come bracciante agricolo insieme al padre, abbandonando la scuola (non finì la seconda elementare). Fu in questo periodo che Provenzano iniziò una serie di attività illegali, specialmente il furto di bestiame e generi alimentari, e si legò al mafioso Luciano Liggio, che lo affiliò alla cosca mafiosa locale.
Nel 1954 Provenzano partì per il servizio militare ma tornò quasi subito a Corleone con un certificato medico. Insieme a Liggio e alla sua banda, Provenzano iniziò ad occuparsi di macellazione clandestina di bestiame rubato nei terreni della società armentizia di contrada "Piano di Scala" a Corleone. Nel 1958 Liggio eliminò Michele Navarra, il capo della cosca di Corleone, e scatenò un conflitto contro i suoi luogotenenti: il 6 settembre 1958 Provenzano partecipò ad un conflitto a fuoco contro i mafiosi avversari Marco Marino, Giovanni Marino e Pietro Maiuri; ferito alla testa e trovato riverso sull’asfalto dai Carabinieri, Provenzano venne arrestato e denunciato anche per furto di bestiame e formaggio, macellazione clandestina edassociazione a delinquere.
Il 10 settembre 1963 fu emanato un mandato di cattura contro di lui per l'omicidio del mafioso Francesco Paolo Streva, ex luogotenente di Michele Navarra, ma Provenzano si rese irreperibile, dando inizio alla sua lunga latitanza. Nel 1969 Provenzano venne assolto in contumacia per insufficienza di prove nel processo svoltosi a Bari per gli omicidi avvenuti a Corleone a partire dal 1958, insieme a Liggio e Salvatore Riina.
Il 10 dicembre 1969 Provenzano si distinse tra gli esecutori della cosiddetta «strage di viale Lazio», che doveva punire il boss Michele Cavataio: durante il conflitto a fuoco, Provenzano rimase ferito alla mano ma riuscì lo stesso a sparare con la sua Beretta MAB 38; Cavataio rimase a terra ferito e Provenzano gli spaccò il cranio con il calcio della Beretta, finendolo a colpi di pistola: per la ferocia dimostrata durante questa azione, i mafiosi di Palermo lo soprannominarono u' Tratturi, perché dicevano che dove passava Provenzano non cresceva più l'erba.
Nel 1974 Riina e Provenzano divennero i reggenti della cosca di Corleone dopo l'arresto di Liggio, ricevendo anche l'incarico di reggere il relativo mandamento. Nel 1977 Riina, Provenzano e il loro associato Michele Greco ordinarono l'omicidio del tenente colonnello Giuseppe Russo, commissionato da Liggio dalla prigione.
Nel 1978 Giuseppe Di Cristina, capo della cosca di Riesi legato ai boss Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti, tentò di mettersi in contatto con i Carabinieri, accusando Riina e Provenzano di essere responsabili di numerosi omicidi per conto di Liggio, all'epoca detenuto; Di Cristina rivelò pure che in quel periodo Provenzano era stato notato a Bagheria accompagnato dal suo associato Giovanni Brusca. Alcuni giorni dopo le sue confessioni, Di Cristina venne ucciso a Palermo su ordine di Riina e Provenzano.

Ai vertici di Cosa nostra con Totò Riina 

Dalla fine degli anni settanta Provenzano trascorse la sua latitanza prevalentemente nella zona di Bagheria, sotto la protezione del suo associato Leonardo Greco, importante esponente della cosca mafiosa locale, ed effettuò ingenti investimenti in società immobiliari attraverso numerosi prestanome per riciclare il denaro sporco; le società immobiliari restarono in intensi rapporti economici con la ICRE, un deposito di metalli di proprietà di Leonardo Greco a Bagheria.
Nel 1981 Provenzano e Riina scatenarono la «seconda guerra di mafia», con cui eliminarono i boss rivali ed insediarono una nuova "Commissione", composta soltanto da capi mandamento a loro fedeli; durante le riunioni della "Commissione", Provenzano partecipò alle decisioni e all'organizzazione di numerosi omicidi come esponente influente del mandamento di Corleone e protesse più volte con l'intimidazione la carriera politica di Vito Ciancimino, principale referente politico dei Corleonesi.
Durante la latitanza a Bagheria, Provenzano si servì dell'imprenditore Simone Castello, esponente politico del locale PCI che era entrato a far parte dei consigli direttivi delle cooperative agricole e ortofrutticole, che servivano per reinvestire il denaro sporco anche nei settori dell'edilizia, della sanità e dello smaltimento dei rifiuti. Negli anni successivi Castello sarà anche il "messaggiero" di Provenzano, che recapiterà i pizzini destinati agli altri boss.

I mancati arresti e il nuovo corso 

Nel 1993, dopo l'arresto di Riina, Provenzano fu inizialmente favorevole alla continuazione della cosiddetta "strategia stragista" iniziata da Riina, ma in seguito si mise a capo di una fazione, che comprendeva i boss Antonino Giuffré, Pietro Aglieri, Benedetto Spera, Raffaele Ganci, Salvatore Cancemi, Michelangelo La Barbera, Matteo Motisi, Giuseppe "Piddu" Madonia e Nitto Santapaola, i quali erano contrari agli attentati dinamitardi, a cui era favorevole l'ala militare dell'organizzazione, composta da Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca, Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano, che riuscì a mettere in minoranza la fazione di Provenzano, che accettò di continuare con le stragi ma riuscì a porre la condizione che avvenissero in continente, cioè fuori dalla Sicilia, come già stabilito prima dell'arresto di Riina.
Il 22 luglio 1993 Salvatore Cancemi, reggente del mandamento di Porta Nuova, si consegnò spontaneamente ai Carabinieri e decise di collaborare con la giustizia, dichiarando che la mattina successiva avrebbe dovuto incontrarsi con il latitante Pietro Aglieri, capo mandamento di Santa Maria di Gesù, per poi raggiungere Provenzano in una località segreta, offrendosi di aiutarli ad organizzare una trappola; l'informazione però venne considerata non veritiera dai Carabinieri, i quali erano convinti che Provenzano fosse morto poiché dopo un decennio la moglie e i figli erano tornati a vivere e a lavorare a Corleone, decidendo quindi di non sfruttare l'occasione.
Dopo gli arresti di Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, Provenzano decise di sciogliere la "Commissione" e creò dei grandi mandamenti tra le province di Palermo e Trapani, che vennero affidati a Pino Lipari, Tommaso Cannella, Salvatore Lo Piccolo, Matteo Messina Denaro e Domenico Raccuglia; nelle varie province i mandamenti con più opportunità di affari dovevano offrire parte dei loro profitti ai mandamenti meno fortunati per evitare conflitti: tale tecnica usata da Provenzano venne definita "strategia della sommersione" perché mirava a rendere Cosa Nostra invisibile dopo le stragi del '92 e '93.
Nel 1995 Luigi Ilardo, luogotenente del boss Giuseppe "Piddu" Madonia, rappresentante della provincia di Caltanissetta, divenne confidente del colonnello Michele Riccio del ROS e gli rivelò che avrebbe incontrato Provenzano in un casolare nei pressi di Mezzojuso; Riccio allertò il colonnello Mario Mori ma non gli furono forniti uomini e mezzi adeguati per intervenire, i quali non riuscirono a localizzare con esattezza il casolare indicato da Ilardo. Successivamente, nel 1996 Ilardo venne ucciso poco dopo aver iniziato la sua collaborazione con la giustizia[30]. Riccio accusò Mori e i suoi superiori di aver trattato la faccenda con superficialità, dando inizio a varie inchieste giudiziarie che ancora non hanno chiarito la vicenda.

Nel 2002 si ebbe notizia che Provenzano si fosse fatto operare sotto falso nome (Gaspare Troia) a Marsiglia per un cancro alla prostata, secondo alcune fonti dall'urologo Attilio Manca.
In quell'occasione le forze dell'ordine riuscirono ad entrare in possesso di una foto del boss, applicata sulla finta carta d'identità.
Nel 2005 le forze dell'ordine eseguirono varie operazioni in Sicilia nei possibili luoghi dove si sarebbe potuto nascondere il latitante, ma senza mai arrivare alla cattura.
Nel 2006 si verificò un tentativo di depistaggio: il 31 marzo 2006 (11 giorni prima dell'arresto) il legale del boss latitante annunciò la morte del suo assistito, subito smentita dalla Dia di Palermo.

L'arresto 

Le indagini che portarono all'arresto di Provenzano si incentrarono sull'intercettazione dei famosi pizzini, i biglietti con cui comunicava con la moglie, il cognato Carmelo Gariffo e con il resto del clan. Dopo l'intercettazione di questi pizzini e alcuni pacchi contenenti la spesa e la biancheria, movimentati da alcuni staffettisti di fiducia del boss, i poliziotti della Squadra Mobile di Palermo e gli agenti della Sco riuscirono a identificare il luogo in cui si rifugiava Provenzano.
Individuato il casolare, gli agenti monitorarono il luogo per dieci giorni attraverso microspie ed intercettazioni ambientali, per avere la certezza che all'interno vi fosse proprio Provenzano.
L'11 aprile 2006 le forze dell'ordine decisero di eseguire il blitz e l'arresto, a cui Provenzano reagì senza opporre la minima resistenza. Il boss confermò la propria identità complimentandosi e stringendo la mano agli uomini della scorta e venne scortato alla questura di Palermo.
Il questore di Palermo successivamente confermò che per giungere alla cattura le autorità non si avvalsero né di pentiti né di confidenti.
Il casolare (il proprietario del quale venne arrestato) in cui viveva il boss era arredato in maniera spartana, con il letto, un cucinino, il frigo e un bagno, oltre che una stufa per il freddo e la macchina da scrivere con cui compilava i pizzini.

Carcere 

Dopo il blitz viene portato alla questura di Palermo e poi al supercarcere di Terni, sottoposto al regime carcerario del 41 bis. Dopo un anno di carcere a Terni, viene trasferito al carcere di Novara a seguito di alcuni malumori delle guardie carcerarie che si occupavano della sua detenzione.
Dal carcere di Novara, il boss ha più volte tentato di comunicare con l'esterno in codice. Il ministero della Giustizia ha deciso di aggravare il carcere duro per Provenzano, applicandogli il regime di 14 bis in aggiunta al 41 bis dell' ordinamento penitenziario, che prevede l'isolamento in una cella in cui è vietata la televisione e la radio portatile.
Il 19 marzo 2011 viene confermata la notizia di un tumore alla vescica.
Inoltre, sempre lo stesso giorno, è stato dichiarato che il boss di Cosa Nostra verrà trasferito dal Carcere di Novara al Carcere di Parma. Nel carcere di Parma il 9 maggio 2012 il boss tenta il suicidio infilando la testa in una busta di plastica con l'obiettivo di soffocarsi ma il tutto viene sventato da un poliziotto penitenziario. Il 23 maggio 2013 la trasmissione televisiva Servizio Pubblico manda in onda un video che ritrae Bernando Provenzano nel carcere di Parma durante un incontro con la moglie e il figlio datato 15 dicembre 2012; l'ex boss appare fisicamente irriconoscibile, affaticato e mentalmente confuso, tanto da non riuscire a prendere in mano la cornetta del citofono per parlare con il figlio. Durante il colloquio Provenzano non riesce neanche a spiegare con chiarezza al figlio l'origine di una evidente ferita alla testa, prima dichiara di essere stato vittima di percosse, e successivamente di essere caduto accidentalmente.
Il 26 luglio 2013 la procura di Palermo dà l'ok per la revoca del 41 Bis a Bernardo Provenzano. Il motivo è da imputare a condizioni mediche .

Processo Trattativa Stato-Mafia 

Il 24 luglio 2012 la Procura di Palermo, sotto Antonio Ingroia e in riferimento all'indagine sulla Trattativa Stato-Mafia, ha chiesto il rinvio a giudizio di Provenzano e altri 11 indagati accusati di "concorso esterno in associazione mafiosa" e"violenza o minaccia a corpo politico dello Stato". Gli altri imputati sono i politici Calogero Mannino, Marcello Dell'Utri, gli ufficiali Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, i boss Giovanni Brusca, Totò Riina, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà, il collaboratore di giustizia Massimo Ciancimino (anche "calunnia") e l'ex ministro Nicola Mancino ("falsa testimonianza").

Le condanne 

Nel 1995, nel processo per l'omicidio del tenente colonnello Giuseppe Russo, Provenzano venne condannato in contumacia all'ergastolo insieme a Salvatore Riina, Michele Greco e Leoluca Bagarella; lo stesso anno, nel processo per gli omicidi dei commissari Beppe Montana e Ninni Cassarà, venne pure condannato in contumacia all'ergastolo insieme a Michele Greco, Bernardo Brusca, Francesco Madonia e Salvatore Riina, a cui seguì il processo per gli omicidi di Piersanti Mattarella, Pio La Torre e Michele Reina, nel quale gli viene inflitto un'ulteriore ergastolo in contumacia insieme a Michele Greco, Bernardo Brusca, Salvatore Riina, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci. Sempre nel 1995, nel processo per l'omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, del capo della mobile Boris Giuliano, e del professor Paolo Giaccone, Provenzano venne condannato all'ergastolo in contumacia insieme a Salvatore Riina, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Francesco Madonia, Nenè Geraci e Francesco Spadaro.
Nel 1997, nel processo per la strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie e la scorta, Provenzano venne condannato all'ergastolo in contumacia insieme ai boss Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Raffaele Ganci, Nenè Geraci, Benedetto Spera, Nitto Santapaola, Salvatore Montalto, Giuseppe Graviano e Matteo Motisi. Lo stesso anno, nel processo per l'omicidio del giudice Cesare Terranova, Provenzano ricevette un altro ergastolo in contumacia insieme a Michele Greco, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Nenè Geraci, Francesco Madonia e Salvatore Riina.
Nel 2000 Provenzano subì una ulteriore condanna in contumacia all'ergastolo insieme a Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella e Salvatore Riina per gli attentati dinamitardi del 1993 a Firenze, Milano e Roma. Nel 2002 la Corte d'Assise di Caltanissetta condannò Provenzano in contumacia all'ergastolo per l'omicidio del giudice Rocco Chinnici insieme ai boss Salvatore Riina, Raffaele Ganci, Antonino Madonia, Salvatore Buscemi, Nenè Geraci, Giuseppe Calò,Francesco Madonia, Salvatore e Giuseppe Montalto, Stefano Ganci e Vincenzo Galatolo. Nel 2009 Provenzano ricevette un altro ergastolo insieme a Salvatore Riina per la strage di viale Lazio.

Famiglia 

Bernardo Provenzano è stato legato sentimentalmente a Saveria Benedetta Palazzolo, con la quale non si è mai sposato ma ha convissuto durante gran parte della latitanza. Saveria Benedetta Palazzolo fece da prestanome a Provenzano in numerose società immobiliari e nel 1983 è riuscita a sfuggire ad un tentativo d'arresto della polizia, rendendosi irreperibile e condividendo la latitanza con il compagno.
La coppia ha avuto due figli:
  • Angelo Provenzano: nato nel 1975
  • Francesco Paolo Provenzano: nato il 16 aprile 1982
La signora Provenzano e i figli sono stati in latitanza fino al 1992. Nella primavera di quell'anno infatti, improvvisamente, fecero il loro ritorno a Corleone. Il figlio Angelo è stato sotto inchiesta per mafia a partire dal 2000, ma l'inchiesta, terminata nel 2009, non ha portato a sviluppi giudiziari.
Il figlio Francesco Paolo, come del resto anche il fratello maggiore, non ha seguito le orme criminali del padre, ma si è laureato in "Lingue e culture moderne" nel 2005, a 23 anni, ed ha ottenuto una borsa di studio dal ministero dell'istruzione, ottenendo un posto come insegnante in una prestigiosa scuola tedesca.

Indiscrezioni giudiziarie 

Secondo la ricostruzione fatta il 1º febbraio 2010 nel processo per favoreggiamento contro Mario Mori, generale dei Carabinieri del Ros, da Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, condannato per mafia e deceduto nel 2002, il boss di Cosa nostra avrebbe goduto di "una sorta di immunità territoriale" fin dal 1992, che gli consentiva di spostarsi liberamente durante la latitanza. La confessione gli era stata fatta proprio dal padre, il quale, stando alle dichiarazione del figlio, si incontrava regolarmente con Provenzano.

Cinema e televisione 

  • Il 30 marzo 2006 è uscito nelle sale cinematografiche il film di Marco Amenta Il fantasma di Corleone, un documentario-fiction su Provenzano che verrà messo in onda anche dalla RAI.
  • Il 14 febbraio 2007 è andato in onda su Raiuno la fiction L'ultimo dei corleonesi, dove viene raccontata la storia di Luciano Liggio, Totò Riina e Provenzano fino alla cattura di quest'ultimo, che nella fiction ha il volto di David Coco.
  • Il 15 febbraio 2007 va in onda su Raitre la docufiction Scacco al re dove viene raccontato il lavoro che è stato fatto per catturare Provenzano con filmati e registrazioni originali.
  • Nel novembre 2007 è stata trasmessa su Canale 5 la miniserie televisiva Il capo dei capi, che ripercorre le vicende della vita di Totò Riina e del suo braccio destro Bernardo Provenzano, il quale è interpretato dall'attore sicilianoSalvatore Lazzaro.
  • Il 13 gennaio 2008 da parte di Mediaset è stata trasmessa una mini fiction, prodotta da Taodue di 2 puntate sugli ultimi anni di latitanza di Provenzano dal titolo: L'ultimo padrino con Michele Placido nel ruolo del boss.

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