Il prefetto di ferro (1977)
Il prefetto di ferro è un film del 1977 diretto da Pasquale Squitieri, tratto dall'omonimo romanzo di Arrigo Petacco.
Trama
Il protagonista è il prefetto Cesare Mori, uomo integerrimo, già noto per la sua inflessibilità nel tutelare lo Stato e la legge, capace di perseguire chiunque la infranga compresi i fascistiallora al potere.
Il film si apre con il suo arrivo di notte nel 1925 a Palermo come prefetto]] con poteri speciali per combattere la mafia da Mussolini, comunque egli non è un fascista avendo combattuto contro il ras Arpinati e i suoi sgherri nei primi anni '20. Con l'aiuto del maggiore Spanò della Regia Arma dei Carabinieri, Mori ottiene confidenze prima ancora di raggiungere il capoluogo siciliano; poi, quando una intera famiglia viene sterminata per spaventarlo, reagisce affrontando personalmente e uccidendo il boss Antonio Capecelatro.
Conosce in seguito una cummari (una popolana) , la quale gli apre gli occhi sulla reale situazione siciliana, e sulla tendenza di chiamare Piemontese chiunque venga da loro considerato un invasore - ciò era dovuto al passaggio dal governo borbonico a quello piemontese avvenuto nel 1860, e all'invio di funzionari che poco o nulla sapevano della situazione reale - e anche Mori viene così chiamato, nonostante egli sia friulano.
L'assedio di Gangi e la cattura del brigante Albanese
Raccolti numerosi indizi, ma impossibilitato ad agire legalmente per la mancanza di prove o di testimonianze, il Prefetto decide di spaventare i mafiosi e nello stesso tempo di ridare al popolo un po' di fiducia nello Stato. Combatte allora con metodi di spietata antiguerriglia il brigantaggio che allora agiva, quasi sempre, come il braccio violento della mafia.
Convinto tuttavia che c'è bisogno di andare fino in fondo, organizza con un imponente numero di poliziotti e soldati l'assedio della cittadina di Gangi, ricorrendo infine alla chiusura delle condotte dell'acqua e al rastrellamento casa per casa del paese.
La vittoria sui briganti, arrestati in massa, culmina con l'arresto e il suicidio di Don Calogero Albanese (Francisco Rabal) detto il Brigante Albanese, latitante da più di 40 anni.
L'opera continua. Promosso e rimosso
Il successo della repressione del brigantaggio lo convince ad alzare il tiro contro i gentiluomini cioè la mafia vera e propria. L'irruzione nello studio notarile di Concetto Tarvisio gli mette in mano documenti che porterebbero all'arresto di mezza Sicilia.
Convinto di essere sulla pista giusta il Prefetto continua imperterrito nella sua opera, spaventando i mafiosi che tentano di ucciderlo; tuttavia Mori riesce a salvarsi intuendo gli stretti legami esistenti tra fascismo e mafia, in quanto nel corso di un attentato alcuni fascisti, che avevano il compito di proteggerlo, non lo fanno, ma anzi gridano che "Il Prefetto è morto".
Attraverso il testamento lasciato da un vecchio residente nell'ospizio dei poveri, ma in realtà ignaro intestatario di una grande proprietà di terra, fa la conoscenza dell'avvocato Galli, gerarca capo dei fascisti siciliani e di rimando alMinistro dell'Interno.
Ma questo colpo è troppo grosso: Mori riceve la nomina regia a senatore, deve partire per Roma (promosso e rimosso, "promoveatur ut amoveatur") e il suo posto viene preso proprio dall'avvocato Galli.
Il terreno viene usato per la costruzione di un aeroporto. Dopo la cerimonia d'inaugurazione, alla partenza alla stazione, Mori confida all'amico e collaboratore Spanò: "Mi sento come un chirurgo che ha operato a metà; che ha fatto soffrire e non ha guarito".
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