Il magistrato si difende: "L'intento è solo quello di approfondire dei fatti". Sul processo aggiunge: "Secondo noi non tutti hanno detto tutto quello che sapevano, alcuni hanno mentito, altri hanno cominciato a esternare le loro conoscenze soltanto con grande ritardo"
“Perseguiamo solo la ricerca della verità secondo un'applicazione rigorosa delle regole del diritto e del codice”. Parlando del processo sulla trattativa Stato-mafia, in un’intervista a Euronews il pm Nino Di Matteo si difende dalle critiche nate dopo la richiesta di deposizione del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Poi invita a non abbassare la guardia: "Non credo che ci siano gli elementi per ritenere definitivamente superato il pericolo di un ritorno della strategia di violento attacco allo Stato”. "Vogliamo solo approfondire dei fatti" In merito alle accuse rivolte al pool antimafia, Di Matteo dice: "Siamo assolutamente sereni perché sappiamo che la verità dei fatti è tutt'altra. L'intento è solo quello di approfondire dei fatti, quelli accaduti nel 1992 e 1993, che sono legati alle pagine più buie del nostro Paese". "Non tutti hanno detto tutto quello che sapevano" Per quanto riguarda il merito del processo, Di Matteo parla di "attacchi strumentali" all'impianto dell'accusa, mentre bugie e silenzi a suo avviso stanno caratterizzando le indagini sulla trattativa. "Secondo noi del pubblico ministero - dichiara - non tutti hanno detto tutto quello che sapevano, alcuni hanno mentito, altri hanno cominciato a esternare le loro conoscenze soltanto con grande ritardo rispetto ai fatti che avevano conosciuto e molti soltanto dopo che della trattativa avevano iniziato a parlare mafiosi come Spatuzza o figli di mafiosi come Massimo Ciancimino. Speriamo - conclude - che tutti quelli che sanno si facciano avanti per dire tutto". "La mafia ha iniziato a capire che gli attentati pagavano" La sua ricostruzione di quanto è accaduto è che "la mafia, a un certo punto, ha cominciato a capire che gli attentati eccellenti, le bombe pagavano”. "Erano utili – afferma - perché lo Stato, andando a cercare la controparte, dimostrava di cominciare a piegare le ginocchia. Cosa Nostra, in particolare Totò Riina ha capito le bombe potevano essere la strategia giusta per costringere lo Stato a venire a patti". Le minacce da Riina Le minacce di morte ricevute da Totò Riina per il pm Di Matteo significano che "lo stragista più pericoloso della storia delle organizzazioni mafiose in Italia, e forse non solo in Italia, ancora adotterebbe questa linea" mentre "la trattativa", "se c'è stata, ha probabilmente salvato la vita ad alcuni politici ma ha causato la morte di altri cittadini italiani".
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