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Torino, 15 romeni condannati per mafia: la prima volta in Italia

Torino, 15 romeni condannati per mafia: la prima volta in Italia

Sono membri della banda «Brigada Oarza»: come nelle mafie italiane avevano i propri riti di affiliazione. Accusati di estorsioni, rapine, traffico di droga

In Italia esiste una mafia rumena. E’ un’associazione a delinquere come quella siciliana, la camorra e la ‘ndrangheta. Con riti di affiliazione per sancire fratellanze di sangue e crimini commessi da boss legati da vincoli gerarchici e collegati a una casa madre in Romania. Il gup del tribunale Luisa Ferracane ha condannato a Torino 15 membri della banda della «Brigada Oarza» (squadra di Oarza, ndr) a pene fino a 15 anni per una serie di reati tra cui il 416 bis. E’ la prima sentenza italiana che condanna un gruppo di persone rumene per associazione a delinquere di stampo mafioso. 


L’inchiesta
L’inchiesta, coordinata dai pm Sandro Ausiello, Paolo Toso e Monica Abbatecola della procura di Torino, era sfociata in una ventina di arresti scattati il 20 giugno 2013 nel capoluogo piemontese. Dopo mesi di pedinamenti e intercettazioni la squadra mobile della polizia, con l’aiuto di 120 colleghi romeni, aveva scoperto che nel torinese si era creata una cellula criminale romena per fare la guerra agli albanesi, che a Torino da anni gestiscono una parte del mondo della prostituzione. La Brigada si era espansa negli anni fino a contemplare decine di elementi. Dal sesso a pagamento le attività si erano moltiplicate: estorsioni, rapine, sfruttamento della prostituzione, traffico di droga e di tabacco. 


I riti di «affiliazione»
Per entrare nella Brigada l’aspirante affiliato si sottoponeva a un rito descritto con precisione nell’ordinanza delle misure cautelari. «Si tagliavano i polsi o gli avambracci e si mettevano a contatto quelli degli affiliati con quello di un nuovo ammesso al clan. Poi si baciavano. Era un modo di dire che ci si univa per la vita». Un pentito che vive sotto protezione, il super testimone dell’inchiesta, raccontava così la mafia a cui apparteneva. «Indica un gruppo unito...si erano fatti un tatuaggio per sentirsi uniti. Lo hanno fatto perché chi vede quel tatuaggio deve aver paura, sapere che appartengono al gruppo». I soldi per mantenere gli affiliati venivano raccolti anche nei locali notturni. «Viene scelto un cantante rumeno – spiegava il collaboratore di giustizia - che si esibisce alla presenza del boss. Le famiglie facoltose presenti fanno delle offerte al cantante, anche di 3mila euro, in suo onore». Un modo per assicurarsi una «protezione assoluta» e dimostrare il potere. Il compenso finale veniva diviso a fine serata: metà soldi al cantante e metà al locale, che di fatto era gestito dai mafiosi. 


Il «padrino» e gli incontri
Dal 2009 il «padrino», capo dell’organizzazione, era Viorel Marian Oarza, 38 anni. Già in carcere al momento degli arresti, aveva ammesso il proprio ruolo in una lettera, dopo aver dimostrato di riuscire a mandare ordini all’esterno anche dalla prigione attraverso «pizzini». Il suo reggente, dopo l’arresto per un tentato omicidio, sarebbe stato Gheorghe Eugen Paun, oracondannato a 15 anni. Sotto di lui, avrebbero agito uomini con i ruoli di «generale», «cavaliere», «soldato», «freccia» e «nipote». Uno dei luoghi delle riunioni era lo Zimbru, locale torinese sequestrato. «Ogni venerdì sera – aveva riferito il collaboratore di giustizia - c’è la serata di tutto il gruppo...e nessuno che non abbia a che fare con questo gruppo può entrare. C’è un tale Andrei che mette della musica speciale, non sono accettate persone che non si conoscono. Il gruppo è composto da 70 o 90 persone». Ognuno aveva il suo compito. «La decina di cui ho detto si occupa di vari settori. N. controlla la prostituzione, L. si occupa dei cantieri, dell’edilizia. R. controlla la contabilità del gruppo e interviene per attività punitiva, e poi i fratelli O. si occupano di protezione e controllano le ditte e praticano l’usura». La «freccia» era una persona «che va a fare il compito che a lui viene assegnato senza fare domande». Il «nipote» «quello che va a prendere i soldi dalle prostitute». 


Il pestaggio del buttafuori
La maxi-inchiesta è partita da un tentato omicidio. Quello di Vasile Vrinceanu, un buttafuori. Con la «Brigada» aveva «sgarrato» due volte. La prima, perché gli era stato detto di lavorare solo al Cristal di Pinerolo, e lui era andato anche in una discoteca di Avigliana. La seconda, perché quando due membri della banda gli avevano chiesto di clonare carte di credito e vendere fumo di contrabbando, si era dileguato. Una sera dell’aprile del 2012 i suoi compagni gli avevano dato appuntamento al parco della Pellerina. Lui si era presentato col cognato. Ad aspettarlo erano in quaranta. Lo avevano massacrato di botte e di sprangate in 15. Per finirlo, una coltellata alla schiena. Ma ce l’aveva fatta. Oggi è vivo per miracolo. 


La guerra con gli albanesi
La guerra tra rumeni e albanesi a Torino è iniziata anni fa. Oarza, il vecchio capo rumeno, era stato arrestato per aver tentato di uccidere il «boss» degli albanesi, Neu Shol, in uno scontro a fuoco in pieno centro a Torino, quando era in atto una fase calda della guerriglia per il controllo del territorio. Paun, uno dei condannati, aveva subito un tentato omicidio da parte dei rivali per lo stesso motivo. In questa battaglia sparatorie, incendi dolosi e pestaggi hanno scandito le tappe dell’ascesa al potere del capo di turno. A Torino, per molto tempo, molti rumeni titolari di negozi, bar e locali hanno vissuto nel terrore. Raccontava G.A, una donna vittima di più aggressioni, riferendosi a uno dei capi. «Mi diceva che avrei dovuto far esibire nel mio locale un cantante romeno che lui mi avrebbe portato e al quale avrei dovuto corrispondere un compenso settimanale di 800 euro più 80 euro da corrispondere a lui. Per non aver problemi nel locale». Dopo il rifiuto della donna, il suo locale era andato a fuoco.

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