In nome della legge (1948)
In nome della legge è un film del 1948 diretto da Pietro Germi, girato a Sciacca, tratto dal romanzo Piccola pretura del magistrato Giuseppe Guido Lo Schiavo, vincitore di tre Nastri d'argento, fra cui uno speciale al regista.
Trama
Sicilia, 1948: un giovane magistrato di Palermo viene inviato come pretore a Capodarso (Barrafranca nella realtà), paesino siciliano e, per amore della giustizia e della legalità, si trova costretto a combattere contro varie ingiustizie sociali. Il suo zelo lo porterà a scontrarsi contro un notabile, il barone Lo Vasto e contro la mafia, rappresentata dal massaro Turi Passalacqua e dai suoi uomini. Tutto ciò contornato da una realtà omertosa e fortemente diffidente che non fa che ostacolare il suo lavoro. Solo contro tutti, appoggiato unicamente dal maresciallo della locale Stazione Carabinieri e dal giovane amico Paolino (la cui barbara uccisione lo convincerà a rinunciare alle dimissioni appena presentate), condurrà fino alla fine la sua battaglia che consiste non solo nell’applicare la legge ma anche nell’insegnarne il valore.
Critica
Per il Dizionario Mereghetti si tratta di «un'opera accattivante nella sua spettacolarità ma molto ambigua dal punto di vista ideologico». Per il Dizionario Morandini è un «vigoroso, qua e là affascinante film d'azione anche se sociologicamente poco attendibile», anticipatore del cinema civile degli anni sessanta e «primo western del cinema italiano postbellico».
Un western italiano
All'uscita, com'era accaduto per il precedente Gioventù perduta, il confronto critico sul film di Germi s'incentrò sulla sua più o meno convinta adesione al "programma ideologico ed estetico del neorealismo". Vi fu così chi lo criticò per il cedimento alle "convenzioni dello spettacolo cinematografico", e chi lo definì il film "... più giusto, più organizzato di questi anni... [non avendo mai permesso] che l'inchiesta, la questione morale, il reportage prevalessero sul racconto."
In particolare da parte dei secondi, si sottolinearono "i punti di contatto" del film verso il western. Nella sua monografia su Pietro Germi, Mario Sesti individua in Sfida infernale diJohn Ford "il riferimento più probabile del genere originario: nella recitazione di Girotti (che sembra proprio rifare Henry Fonda negli sguardi fissi e muti, quasi ipnotici, con i quali sfida i suoi nemici nel bar tabacchi) e nell'uso scenografico di una comunità e del suo villaggio, isolati dalla natura e dal deserto, che è assai vicino al modello scenografico della Tombstonedi John Ford." Ma continui sono i riferimenti; dall'arrivo del pretore nella stanzioncina deserta, "degna di Yuma o di Hadleyville", ai "mafiosi a cavallo che si stagliano contro cieli siciliani sulle alture, come le tribù indiane" dei film di Anthony Mann.
Il finale
L'"ambiguità" di un finale in cui il pretore stringe un patto di lealtà con la banda del mafioso Passalacqua, "... di una concezione romantica e, certo, discutibile del fenomeno mafioso" furono sottolineate da diverse parti, per quanto questi caratteri nel film fossero meno marcati che nel racconto di Giuseppe Guido Lo Schiavo da cui era stato tratto il soggetto. Anche Leonardo Sciascia rimproverò al regista di aver ricavato un film da un testo che accreditava un'immagine della mafia, ispirata da una profonda vocazione alla giustizia.
Incassi
Nella stagione 1948-49, il film incassò 401 milioni di lire, classificandosi al terzo posto per le maggiori entrate, dopo Fabiola di Alessandro Blasetti e La sepolta viva di Guido Brignone.
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