Dalla Sicilia alla Campania, le cosche sono sempre di più in mano alle donne, che rimpiazzano mariti e fratelli finiti in cella. Dalle più giovani, come Ilenia Bellocco, detta 'Velenia' per la sua durezza, alle ultra cinquantenni come Angela Ferraro. Che comandano sempre di più, come dimostrano inchieste e condanne
Anche in questo caso, papa Francesco ha sorpreso tutti. Due settimane fa in piazza San Pietro, celebrando la beatificazione di don Pino Puglisi, il sacerdote assassinato da Cosa nostra nel 1993, ha usato una parola nuova: «Preghiamo perché questi mafiosi e queste mafiose si convertano». Mafiose, appunto. Il volto emergente delle cosche: donne che non sono più gregarie o semplici "messaggeri" dei mariti o familiari, ma hanno assunto la guida dei clan gestendoli in modo autonomo. Si sono emancipate nella gerarchia criminale, con una ferocia spesso superiore agli uomini. A Napoli un pentito ha descritto le gesta della «tragicatora»: una lady camorra la cui identità è ancora nascosta fra le indagini riservate, «che mette le tragedie, che dice sempre bisogna uccidere, bisogna fare i morti».
Accade ovunque, in Sicilia, in Calabria, in Campania e in Puglia: alla regia delle cosche ci sono signore giovani o mature, ma tutte ugualmente spietate. A inizio anno nelle carceri di massima sicurezza risultavano già rinchiuse 133 donne accusate di associazione mafiosa. Gran parte di loro avrebbe ricoperto ruoli direttivi nelle cosche, rimpiazzando mariti e fratelli finiti in cella. E il numero delle "padrine" continua a crescere, di pari passo con le retate che in alcuni casi, in passato, per un tacito accordo con gli investigatori le hanno risparmiate. Ne hanno parlato pure alcuni collaboratori di giustizia, ricostruendo gli accordi stretti anni fa con la promessa di «rispettare donne e bambini» pur di arrivare alla cattura del ricercato.
PRINCIPESSA VELENIA. Nel reggino poche settimane fa è stata arrestata Ilenia Bellocco, che aveva preso lo scettro del marito recluso: era al settimo mese di gravidanza, ma non c'era nulla di femminile nella durezza con cui dominava la 'ndrina. A soli ventitrè anni viene considerata padrona di una fetta della piana di Gioia Tauro intorno a Rosarno. Lì suo padre Umberto Bellocco, detto "Assu i mazzi" (asso di bastoni), ha fondato l'omonima cosca. Che si è rafforzata grazie al suo matrimonio con Giuseppe Pesce, designato reggente di Rosarno dopo l'arresto di suo fratello Ciccio Pesce. Una scelta condivisa dalla ragazza, conscia che quelle nozze avrebbero portato in dote un'indiscussa autorità criminale e una ricca quota degli appalti della Salerno-Reggio Calabria.
Anche Giuseppe Pesce dopo quasi tre anni di fuga si è piegato alla pressione dei carabinieri del Ros e del comando provinciale di Reggio Calabria che lo cercavano mettendo a ferro e fuoco la zona della Piana: lo scorso mese si è costituito ai militari dell'Arma, arrendendosi. Ma durante la latitanza è stata Ilenia a mandare avanti la famiglia: trasmetteva gli ordini, incassava i soldi delle estorsioni e dei traffici. Soprannominata "Velenia" da chi per anni l'ha seguita e ascoltata durante le indagini, ha un carattere acido e spigoloso che spesso si esprime in un turpiloquio grondante bestemmie, tale da sbalordire persino gli investigatori abituati ai peggiori sicari. E' un trattore che travolge tutti, si muove con consapevole determinazione, fiera del cognome che porta. E anche del soprannome, visto che il giorno delle nozze ai suoi mille ospiti ha offerto come bomboniera un cobra in lalique con occhi in pietre preziose. Ilenia, nessun reddito denunciato al Fisco, ha un tenore di vita principesco, con uno shopping illimitato di abiti griffati, smartphone e tablet di ultima generazione, senza disdegnare massaggi e trattamenti estetici. Tutti gli uomini del clan hanno un grande rispetto per "Velenia" e tutti eseguono senza fiatare gli ordini che la giovane impartisce.
I PICCIOLI E LA PICCIRIDDA. Brancaccio è un quartiere di Palermo, che dista solamente tre chilometri dal municipio di Palazzo delle Aquile, dove Cosa nostra difende con il terrore la sovranità. E lì sopra ogni mafioso c'era lei, Nunzia Graviano, 44 anni, la "Picciridda", sorella dei tre boss Giuseppe, Filippo e Benedetto Graviano. Nel quartiere fino allo scorso anno la famiglia incassava 66 mila euro al mese affittando appartamenti, uffici e capannoni. Altre somme arrivavano dalle attività commerciali, intestate a prestanome, comprese alcune stazioni di rifornimento: un tesoro finito sotto sequestro grazie alla "cantata" dell'ultimo pentito di rango, Fabio Tranchina. La "picciridda" è la manager della famiglia: è stata già arrestata e condannata due volte, l'ultima due mesi fa con una pena di otto anni.
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