Conferma l'esistenza della trattativa con lo Stato
Palermo, 1 lug. (TMNews) - L'ipotesi che per via D'Amelio, quel pomeriggio del 19 luglio 1992 quando fu ucciso il giudice Paolo Borsellino, non sia passata solo la mafia, ma anche i servizi segreti, è un fatto che oggi trova riscontro nelle parole di Totò Riina.
Il capomafia corleonese, lo scorso 31 maggio, conversando con le guardie penitenziarie che lo sorvegliavano nel carcere di Opera, ha parlato proprio di quell'eccidio, spiegando come Giovanni Brusca, il pentito che per primo fece riferimento al "papello" con cui Riina dettava allo Stato le condizioni della "trattativa", "non ha fatto tutto da solo. C'è la mano dei servizi segreti - ha detto Riina, le cui parole sono state riportate dalle guardie in una relazione di servizio depositata oggi al processo in corso davanti alla Corte d'Assise di Palermo -. La stessa cosa vale anche per l'agenda rossa. Perché non vanno da quello che aveva in mano la borsa, e si fanno consegnare l'agenda. In via D'Amelio c'erano i servizi che si trovavano a Castello Utveggio".
Gli agenti penitenziari del Gom (Gruppo Operativo Mobile) che hanno raccolto lo "sfogo" del padrino, sono stati interrogati una settimana dopo quelle rivelazioni, e ai magistrati hanno riferito come il boss abbia aggiunto che "la vera mafia sono i magistrati, e i politici che si sono coperti tra di loro". Per Riina, che ha riferito di stare bene fisicamente e mentalmente, "la mafia, quando inizia una cosa la porta a termine".
Rina, che nel colloquio con gli agenti si è autodefinito "andreottiano da sempre", ha anche confermato che vent'anni fa mafia e Stato si sedettero attorno allo stesso tavolo per dar vita alla cosiddetta "trattativa", per porre fine alla stagione delle stragi, e ha riferito poi che la sua cattura fu dovuta a Bernardo Provenzano, suo alter ego all'interno di Cosa nostra, e a Vito Ciancimino, l'ex sindaco mafioso di Palermo.
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